Se solo i bambini non rompessero le zampe di nessun gatto», si augura Tamara che ancora non parla, mentre succhiando la sua tettarella, contempla questo vasto mondo che non è forse il più perfetto. Con questi versi inizia una poesia di Izet Sarajlic. Immagine cruda, difficilmente figlia di un?esistenza agiata all?occidentale. Ma l?autore bosniaco è un poeta di frontiera. La sua finestra sulla realtà è Sarajevo, città martire della guerra nei Balcani, che l?intellettuale non ha mai voluto lasciare nonostante il conflitto gli abbia tolto le due sorelle Nina e Raza e la moglie, morta in seguito agli stenti patiti. Lei cattolica, lui di famiglia musulmana. La ricerca di una sintesi culturale e l?amore per la scrittura sono i due binari su cui è corsa, dal 1930, quando nacque a Doboj, sino al 2 maggio 2002, quando è morto a Sarajevo, la vita di questa grande figura, che i critici non esitano a indicare come uno dei grandi poeti del ?900.
Sarajlic si laureò in Lettere presso la facoltà di Filosofia di Sarajevo. Nel 1949 pubblica il suo primo testo di poesie, che precede di poco l?opera che lo consacra: Grigio week-end. Ormai affermato, nel 1954, fonda il ?Gruppo 54?, palestra per le nuove correnti di poesia moderna in Bosnia Erzegovina. Per un decennio, dal 1962, gestisce il festival Giornate poetiche di Sarajevo. Nel 2001, infine, vinse il premio Moravia.
Vera bandiera della Sarajevo multietnica, memoria storica di una città che la guerra ha probabilmente distrutto per sempre, Sarajlic aveva tanti amici italiani. Tra i quali Erri De Luca e Pietro Veronese, che lo ricorda così: «Stupendo poeta della Bosnia e dell?amore, era un adorabile uomo dai capelli bianchi e dal sorriso dolce e triste. Stupendo poeta della Bosnia e dell?amore».
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